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DAL SAHEL AL CORNO D’AFRICA, UN CONTINENTE INQUIETO E DEPREDATO

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Intervista a Massimo Alberizzi

Dopo la fine del regime libico del colonnello Muammar Gheddafi in molti si sono chiesti cosa sarebbe accaduto nelle zone dell’ Africa che erano sotto la sua influenza, soprattutto quella che va dalla Mauritania al Ciad. E Negli ultimi due anni su tutti i media si è parlato tantissimo di quello che è successo nel Maghreb, con le sue rivoluzioni ed i suoi cambiamenti geopolitici. Ma cosa sta accadendo realmente in tutta l’Africa? Per avere una panoramica generale sui problemi dei più vasti stati africani e sulle conseguenze della caduta di Gheddafi, che – lo ricordiamo – fra l’altro era stato dal Febbraio 2009 al Gennaio 2010 presidente dell’Unione Africana, abbiamo fatto alcune domande al giornalista Massimo Alberizzi, inviato in Africa del “Corriere della Sera”, che ci ha offerto un’attenta ed approfondita analisi:

Dopo la morte di Muammar Gheddafi, in molti hanno pensato a consistenti cambiamenti geopolitici in un area dell’Africa che era fortemente influenzata dal regime del colonnello, in particolare la zona che va dalla Mauritania al Ciad. E in molti pensano che ci saranno anche dei cambiamenti negli equilibri geopolitici di tutta l’Africa, dopo le rivolte della primavera araba che ci sono state nel nord Africa. Credi che ci saranno questi cambiamenti?

L’Africa è un enorme continente. Ed è  davvero molto complicato  parlare di “equilibri” africani. Sicuramente Gheddafi  si è giocato i suoi  interessi soprattutto nel mondo arabo e forse  nelle zone come  il Mali o il Ciad. Ma i suoi amici erano tra i peggiori dittatori dell’ Africa, persone legate solo agli affari e senza scrupoli. Infatti, quando ha cercato di avere il secondo mandato come presidente dell’unione africana, non è riuscito ad ottenerlo.  Anche i Tuareg erano solo dei mercenari al soldo di Gheddafi, che potevano essere anche al soldo di qualsiasi altro dittatore che fosse stato disposto a pagare il loro “salario”. Personalmente non credo che  la caduta di Gheddafi possa influenzare alcun equilibrio presente in Africa. Forse la sua scomparsa ha causato solo qualche  effetto  collaterale, come ad esempio i Tuareg che combattevano prima con lui e dopo la sua morte si sono dopo dichiarati liberi dai propri impegni .E così in Mali hanno partecipato alla creazione di un proprio piccolo stato. Gheddafi non è stato neanche capace di combattere al-Qaeda nel Maghreb islamico, e molti dei suoi mercenari si sono ora arruolati subito dopo  con al-Qaeda stessa. La sua caduta non credo abbia determinato alcun cambiamento politico in tutta quella che era la sua zona di influenza.

Il 9 Luglio 2011 è nato lo stato del Sud Sudan, che ha ottenuto la sua indipendenza dal Sudan e da quella che definiva l’oppressione del governo di Khartum e del presidente Omar Al-Bashir. In molti credono che questa indipendenza potrebbe essere solo apparente, dato che gli oleodotti che portano il petrolio del Sud Sudan fuori dai suoi confini passano per il nord. Cosa credi che accadrà?

Non credo che si verificherà tutto questo. Nel Sud Sudan si sta costruendo ora un  oleodotto che attraverserà  il Kenya. Questo enorme oleodotto in costruzione è anche una vera e propria vergogna dal punto di vista ecologico ed ambientale, e sta danneggiando una delle zone più belle del Kenya, ai confini con la Somalia, a Lamu. Si sta distruggendo un parco stupendo di mangrovie nel silenzio generale. Il sud si andrà quindi ad affrancare totalmente dal nord. Certo, bisognerà tenere conto degli equilibri con gli stati confinanti, però questo è  il tentativo del Sud Sudan di ottenere una totale indipendenza economica dal nord, tentando  di controllare la propria produzione di petrolio attraverso i nuovi oleodotti. Un altro oleodotto dovrebbe passare attraverso l’Etiopia ed andare in Somalia. Questo per tutelarsi da un’eventuale chiusura dell’oleodotto passante dal Kenya: in questo caso, il Sud Sudan ne avrebbe comunque un altro. L’oleodotto keniota per essere costruito impiegherà circa 5 o 6 anni. Per quello etiope ci sono solo dei progetti, ma la strada imboccata è quella.

Tu sei stato qualche mese fa ad Eyl nel cosiddetto “covo “dei pirati somali. Cosa ci racconti in merito a questa esperienza?

Il problema dei pirati somali non è un problema marginale. La manovalanza dei pirati è situata in Somalia, ma il vero “covo” dei pirati non è dove mi sono recato io, ad Eyl, ma si trova a Londra , a Roma, a Dubai, a New York. E’ qui , in queste città, che investono il loro denaro.  Una nave riscattata vale oggi circa otto milioni di dollari, a volte anche dieci. Dove si  riesce ad investire tutto questo denaro? In Somalia no di certo. Quindi è chiaro che la destinazione dei loro guadagni illeciti finisce nelle grandi città del mondo. Tutto questo denaro viene investito anche in altre nazioni, come ad esempio il Kenya, dove i somali si stanno letteralmente comprando interi quartieri. Un mio amico che abitava nella zona più bella di Nairobi, aveva una casa del valore di circa 750.000 dollari. Ha ricevuto la visita di alcune persone che gli hanno chiesto: “Lei vende la sua casa?”, e lui ha risposto “No, assolutamente. Questa casa è della mia famiglia” . Queste persone sono tornate da lui qualche giorno dopo e gli hanno offerto una valigetta con 2 milioni di dollari , convincendolo inevitabilmente a venderla. Si stanno impossessando di interi quartieri di Nairobi e nessuno sta dicendo assolutamente nulla. Accanto a tutto questo vi è un’economia sommersa che si muove accanto alle mosse dei pirati, dove vi sono le convivenze dei governi e la corruzione. Questi sono i meccanismi che continuano a fare le fortune dei pirati somali.

Ogni giorno arrivano notizie sempre più drammatiche dalla Nigeria. La lotta tra integralisti islamici e cristiani miete sempre più vittime, mentre gli episodi legati alla criminalità organizzata crescono sempre di più. In questi giorni abbiamo assistito anche al sequestro di un calciatore che gioca in Italia, Obodo, un sequestro per cui era stato chiesto un riscatto ma che per fortuna si è risolto nel migliore dei modi. Dove sta andando, secondo te, la Nigeria?

La Nigeria è un paese che sta per esplodere per le ingerenze delle multinazionali e del “business senza etica”. In Nigeria basta corrompere un po’ di famiglie importanti, dando loro le royalties del petrolio o tangenti di milioni di dollari. Queste famiglie intascano e non distribuiscono nulla. Il risultato è un paese al collasso e senza infrastrutture, che ha una classe dirigente ricchissima che tiene sotto scacco, e sotto la soglia di povertà,  centocinquanta milioni di persone. Questa mancata redistribuzione della ricchezza crea malessere nella popolazione, soprattutto nel momento in cui essa vede passare per strada gente con gioielli e auto di lusso, che vive in ville sontuose. Tutto questo crea un forte risentimento nei ceti più poveri. Nel sud del paese, la parte più ricca di petrolio, vi è un tasso di disoccupazione che oscilla tra l’80 ed il 95% della popolazione, mentre nel nord il mancato sviluppo e l’enorme povertà creano uno scenario favorevole per i criminali e gli integralisti islamici. Il petrolio è tutto nelle mani dei cristiani del sud, che vengono visti come i ricchi che sfruttano il paese. Da qui viene questa guerra furibonda che insanguina la Nigeria. Ma in Nigeria, come in tutta l’Africa, sta anche crescendo un forte risentimento antiamericano. Gli Usa  vengono visti come quelli che impongono le loro regole, come del resto stanno facendo ora anche con l’Europa. Regole all’insegna di un liberismo sfrenato.  Qui credo sia lecito chiedersi dove sta andando tutta l’economia mondiale, e in molti si chiedono chi governa il mondo. Sono i mercati finanziari? Le multinazionali? Il “grande vecchio”, come si diceva una volta? Non vi è ancora chi riesce a spiegare bene perché siamo precipitati in questa crisi.

Quando ero piccolo, ero stato abituato a vedere rappresentata la fame nel mondo con immagini di bambini africani straziati dalla fame. Ora che ho quarant’anni credo che in Africa la situazione della fame e della mancanza di cibo  non sia cambiata affatto. Cosa si potrà fare per tutto questo in futuro?

La parola fame credo sia diventata sinonimo di guerra. E la vera iattura, per ogni paese, è quella della presenza del petrolio o di ricchezze minerarie per cui si fa la guerra. E la guerra produce fame. La fame è sempre provocata dal business e dagli interessi. E’ qui che bisognerebbe intervenire, ma nessuno lo fa mai, neanche con dichiarazioni di principio come potrebbero fare la Nazioni Unite. La divisione e la spartizione dell’ Africa fatta subito dopo le due  guerre mondiali, con la nascita di molti paesi nati dalle colonie europee, ha creato stati indipendenti solo sulla carta. In molti casi  sono stati messi  insieme nello stesso paese gruppi con usanze, lingue e tradizioni diverse, che si fanno sempre la guerra tra loro per avere l’egemonia l’uno sull’altro. Questo è il problema del presente e del futuro dell’ Africa.

Nicola Lofoco, laureato in Scienze politiche, è giornalista free lance dal 2000; si è occupato per diverso tempo di radio e tv; oltre ad aver collaborato con diverse testate online, è stato nella redazione de L’ Unità, La  Rinascita, e del Riformista dove si è occupato di politica estera


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